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e alla montagna e tutto quanto ritenete possa essere interessante per i
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. Quando pubblicheremo quello che ci avete inviato ve lo comunicheremo
attraverso una e - mail.
Iniziamo con il racconto
di Giuseppe D'Onofrio sul trek di 3 giorni sull'alta via dei Monti Lattari
con partenza da Cetara (SA)
E' un po' lungo.
Potete leggerlo qui sotto
o scaricarlo sul vostro
computer cliccando con il tasto destro del mouse sulla scritta
sottolineata e selezionando "Salva oggetto con nome..."
Le foto qui sotto
rappresentano il "racconto" di un altro escursionista della sua
esperienza sui Monti Lattari. Cliccando sulla miniatura della fotografia
si aprirà un'altra finestra in cui potrete vederla ingrandita.
TREK
SULL'ALTA VIA DEI LATTARI
E’
da un anno e mezzo che questo "progetto Lattari" mi frulla nella testa. E’
il tentativo di “impossessarmi” della costiera con una traversata da
un capo all’altro che utilizzasse il tracciato dell’alta via dei
Lattari, segnata dal CAI di Napoli anni orsono e inaugurato storicamente
nel 1877 da Giustino Fortunato, economista, storico e uomo politico di
rilievo del meridione d’Italia (fu deputato e poi senatore).
Parlandone
con altre altre guide della fie ne ho ricevuto scarsi incoraggiamenti,
anzi, i commenti mettevano scherzosamente in dubbio la sanità mentale mia
e degli eventuali partecipanti ma, del resto……… 70 Km, 3800 m in
salita e 3600 in discesa in tre giorni……..
Quello
che potremmo definire una bella ed entusiasmante impresa per la fie lazio
non è tanto insolita invece fra i cari amici del CAI di Cava dei Tirreni
che quasi tutti gli anni ripercorrono l’alta via partendo da
Sant’Arcangelo di Cava o dal valico del Chiunzi, con una sosta in più
(se le mie informazioni sono esatte) a Sant’Agata dei due Golfi.
Rispetto
al canonico tracciato segnato sulla cartina CAI dei Lattari, abbiamo
“allungato” un po’, partendo dal livello del mare, cioè da Cetara.
Arriviamo sul posto la sera prima alloggiando in appartamenti accoglienti
e con una bella vista sul mare. Quello più grande, assegnato ai ragazzi,
si trova sotto la torre borbonica con il suono e gli schizzi delle onde
sotto il balcone. Cena conviviale davanti al mare, cucina essenziale
preparata da Bruno e poi tutti a nanna. La piazzetta di Cetara, nel fresco
del mattino e con i primi tenui suoni del borgo marinaro che si risveglia,
infonde ad alcuni di noi il desiderio di vivere lì o quantomeno di
trascorrevi molto tempo), fra mare e monti, in una stimolazione dei sensi
accentuata dalla imminente partenza per questa avventura. Questo è uno di
quei luoghi dello spirito in cui la vita ci appare come una
rappresentazione festosa, in uno scorrere del tempo serenamente sonoro.
Basta venire qui’, in una tiepida serata autunnale, quando il turismo
cede spazio al vocio allegro dei bimbi o al chiacchiericcio delle comari,
alle discussioni degli uomini sulla pesca o alla voce del mare che tutto
avvolge. Foto di rito, incontro con il nostro amico Bruno Massa,
svuotamento coatto dello zaino-casa della nostra “mitica” Barbara,
panini, colazione e via……sul sentiero che da qui’ si inerpica sulle
pendici del monte Avvocata. Questo monte (1016 m.), particolarmente caro
ai Cavesi per la vicinanza e agli abitanti di Maiori per il valore
religioso che ha assunto dalla fine dell’ ‘500 in poi, si affaccia sul
mare con un balcone naturale che ne esalta la panoramicità. Da qui, dopo
una breve visita al santuario dell’Avvocata e alla storica grotta
collocata nei pressi, origine della religiosità del luogo e meta di
pellegrinaggi processionali una volta l’anno, proseguiamo sul sentiero
che cavalca tutta la cresta, fino al valico di Chiunzi, circa 18 Km di
gran fatica in un percorso aspro ed appena accennato fra paesaggi
alpestri, gole e dirupi. Ci sorprende un breve temporale, annunciato da
nubi cupe, vento e….. strane “frizioni” ai capelli, sollevati da una
specie di vento elettrico, una sorta di mini fulmine che ha colpito, pare,
solo me e Cinzia, intimoriti da un inspiegabile accanimento che sembrava
preannunciare la ben più spiacevole visita dei loro fratelli maggiori. Ci
teniamo per un po’ sotto cresta per sottrarci all’esposizione
eccessiva fino al passaggio del temporale. Francois, di origine
svizzero-veneta, mostra il suo stile nordico, snobbando qualsiasi
copertura alla pioggia ormai abbondante.
Questo
tratto dell’alta via, spettacolare e difficile, non ha più da anni la
cura che richiederebbe per liberarla dalla macchia rigogliosa che da
queste parti trova condizioni ideali. Conoscendo la difficoltà nel
trovare le segnalazioni bianco rosse e le obbligate brevi varianti ai
tratti interrotti, ho chiesto aiuto al mio amico del Cai di Cava dei
Tirreni, Bruno Massa.
Questo
straordinario sessantenne è autore di imprese escursionistiche che gli
hanno meritato articoli sui quotidiani locali e nazionali. Il 13 Luglio
2001, partendo a mezzanotte, ha percorso, insieme a due suoi amici, tutta
l’alta via in 23 ore e 45 minuti senza interruzione da Cava dei Tirreni
a Punta della Campanella, monte S. Costanzo incluso: è una autentica
impresa. Doti ancora maggiori, come tutti i partecipanti hanno constatato,
Bruno le ha nella generosità, altruismo e passione per la montagna. Il
nostro “maestro” ci ha accompagnato condividendo con noi la fatica di
scalare 1600 metri di salita complessiva per tutto il primo giorno sui
crinali del Demanio e del Finestra (1134 m.), con una sorta di adozione
temporanea che si è protratta telefonicamente nei giorni successivi;
arrivati in prossimità del valico del Chiunzi, è tornato a casa,
sotto la pioggia e al buio, tagliando la montagna fino a Cava dei Tirreni.
Persone cosi’ sono rare, un po’ meno in questo sud dal cuore grande.
Dimenticavo: tutto questo gratuitamente e sacrificando un giorno delle sue
ferie.
Trascorsa
la notte in un alberghetto del valico, il mattino si riparte in direzione
del monte Cerreto orfani di Serenella e Bruna che decidono di prendersi
una giornata di relax, scendendo a valle con il bus, per poi riunirsi a
noi alla fine della giornata.
La
vetta ci sorprende ancora con uno dei panorami sui due golfi che questa
alta via generosamente elargisce a chi la percorre. Quassù ci imbattiamo
in un gruppo di gaudenti locali intenti a gustare succulenti salsicce alla
brace e buon vino trasportato sul dorso di un mulo, flash di un tempo che
sembra arrestarsi fra abitudini antiche e antichi mezzi di trasporto.
Una
delle particolarità che questo pellegrinaggio verde ha, è quella di
mostrarci il cammino fatto nelle ore o nei giorni precedenti e quello da
fare nei successivi, con una visione mozzafiato di monti la cui bellezza
mai si immaginerebbe se non venendo quassù.
Si
prosegue il cammino attraversando la parte alta della riserva naturale
delle Ferriere e dopo un lungo tratto a quote costanti e vivaci incontri
con festanti suonatori di tammorra “bagnata nel vino” (alcuni di noi
hanno accettato l’offerta) fra canti e danze, si intraprende la scalata
entusiasmante al re della costiera, Pizzo San Michele (1444 m.), il più
alto del trittico di Sant’Angelo a Tre Pizzi.
Il
percorso si sagoma su una serie di valloni e “costole” montuose in un
paesaggio esposto a nord che muta radicalmente le caratteristiche
vegetazionali fino ad ora incontrate. Si esce dai profumi e colori della
macchia mediterranea per essere accolti dall’abbraccio di alberi di
specie diversa che si associano o si alternano con l’elevarsi delle
quote: faggio, acero, ontano napoletano, carpino, querce, rari ornielli e
castagni (retaggio di colture oggi abbandonate).
Anche
qui incontriamo imponenti pareti di roccia calcarea, silenziose e
ricche di suggestioni alpestri, apparizioni quasi improvvise nelle rare
concessioni che la fresca copertura forestale regala alla
nostra vista, provvidenziali stillicidi d’acqua e…… scouts accampati
in prossimità della cima.
Non
scorderò mai l’espressione dei “ragazzi” del nostro gruppo di
fronte al panorama della vetta ! Ancora non ho capito perché Claudio ed
Angelo hanno rinunciato agli ultimi 50 m. di salita che li avrebbe portati
a coronare (è il caso di dire) le loro non poche fatiche.
Sentiero
di cresta, monte della Conocchia, panorami unici in Italia, Capri, Ischia,
Procida e Vesuvio, penisola sorrentina, golfo di Napoli e di Salerno,
appennino campano, Irpinia, Sannio, Matese, Roccamonfina, Cilento; ho
dimenticato qualcosa……. La Sardegna? Chissà, forse con un binocolo e
una giornata limpida…..
Si
scende verso la casa della forestale, 850 m. di discesa ripida, vengono i
brividi a pensarla in salita, le mie ginocchia cominciano a scricchiolare;
ancora spettacolari panorami e pareti stratificate di roccia, mancano solo
le aquile. Si arriva al al posto tappa di Santa Maria a Castello
attraversando una bella e fresca pineta, dopo 1350 metri di salita.
L’agriturismo, situato a 650 metri sul mare, proprio sopra Positano, ci
accoglie anche questa volta al buio. Un posto accogliente, da ricordare
per la buona cucina e la vista meravigliosa che dalle sue finestre si gode
sul mare della costiera.
Il
giorno successivo, ultima tappa, una lunga cavalcata fra brevi ripide
salite e lunghe discese. Perdo il mio altimetro, 100 euro lasciati in
premio al primo escursionista della domenica che ci seguirà. Dopo una
inutile ricerca faccio sciogliere il dispiacere nel mare che ci circonda e
in una improvvisata lezione botanica, la mia passione da escursionista,
brevemente tenuta sotto l’ombra di provvidenziali quercie. I più
attenti a questi stimoli sono Bruno e Cinzia, con cui si instaura un
canale “verde”. Sono curioso di scoprire l’archivio fotografico di
Bruno, costruito con improvvise sparizioni “botaniche” sui più bei
esemplari del percorso, quando ci rivedremo tutti insieme fra qualche
giorno.
Il
nome monte Comune, da noi raggiunto e oltrepassato, viene dalla regola non
scritta che disciplinava la coltivazione di grano ed ulivi e che sino ai
primi anni del ‘900 veniva seguita dagli uomini di questo altipiano: la
comunione della proprietà e dei raccolti. Dopo Monte Vico Alvano
attraversiamo tratti antropizzati dove abbiamo trovato facile e
provvidenziale ristoro alla calura del giorno, fino ad arrivare al paesino
di Torca. Da qui il sentiero ci mostra uno dei tratti della costiera
fra i più belli e fortunatamente isolati, lontano dai segni evidenti
dell’uomo e vicino alla sensazione di trovarsi su di un isola deserta.
Veniamo interrotti dalla suggestiva impronta storica che l’uomo lasciò,
si da epoca romana, in prossimità del fiordo di Crapolla, 680 gradini che
ci spingono in uno degli angoli più incontaminati del nostro percorso. Su
uno dei due dirupi che racchiudono questa insenatura rocciosa, l’antica
“Crapolae”, dove in epoca romana, per scopi commerciali, terminava un
ramo della antica via Minerva, si scorgono i resti dell’antica abbazia
di S. Pietro, del XII sec. utilizzata in parte per l’erezione di una
modesta cappella, oggi ben visibile. Sulla spiaggetta sono visibili i
ruderi di una costruzione romana, forse una villa.
Nel
mare, fra trasparenze di colore e luminosità, si staglia l’isolotto di
Isca dove ebbe dimora il grande Eduardo De Filippo.
Ci
soffermiamo a Marina di Cantone dove i più coraggiosi dei nostri si
immergono nelle acque per un bagno ristoratore. Li elenco per un meritato
riconoscimento: Bruno, Francois, Cinzia, Claudio, più diversi piedi a
mollo. Ultimo tratto passando per Nerano e si arriva felici al paesino di
Termini.
In
questa giornata ci siamo “rilassati”, solo 850 metri di salita
e…………… ho perso il conto dei km fatti.
“Tu
si’ pazz’”: questo è stato il pressoché unanime e simpatico
commento che le occasionali conoscenze fatte nel nostro cammino ci hanno
regalato in questi giorni, venuti a sapere del nostro percorso; facce
sbalordite che ci chiedevano “ma chi ve lo fa fare?” la risposta, non
espressa, per chi ama la natura e la suggestione che trasmette la montagna
è già data in partenza ma il dialogo, la comunicazione con
l’interlocutore occasionale, per emergere dalla latitanza, ha richiesto
canali noti ed universali quali il sorriso e il lazzo.
All’arrivo
la nostra intima gioia era incontenibile. Avevamo “conquistato”
l’intera costiera in tre giorni e tale era la nostra contentezza che a
circa 1 km dalla meta, avvolti dalle ultime luci del tramonto, un
agguerrito gruppo di 3-4 di noi, comincia ad accelerare il passo,
inizialmente senza spiegazione, poi compreso come volata finale di una
lunga maratona in cui è emerso lo spirito fanciullescamente competitivo,
anche dei più stanchi.
Il
premio ci è apparso appena superato l’ultimo ostacolo alla vista del
mare, in cui sembrava irrealmente sospesa l’isola di Capri, fra il mare
e la luce crepuscolare del cielo.
Un
breve accenno merita la genuina cortesia mostrataci dalla famiglia che
gestisce la trattoria di Termini dove abbiamo cenato. Due fanciulli figli
del proprietario, dal viso giulivo e dagli occhi contenti, ci giravano
intorno servendoci gustosi piatti della tradizione locale. Prezzi bassi,
cucina ottima, piccolo ambiente casalingo; si chiama Eughenes.
L’alba
bussa alla finestra dei nostri balconi sul mare, mostrandoci gli scogli
che fra Punta della Campanella e Capri tentarono Ulisse con il canto delle
Sirene, le stesse, io credo, che hanno rapito lo sguardo, sin dalla sera
precedente, della nostra simpatica Barbara.
Punta
della Campanella, divenuta estrema propaggine occidentale della penisola
dopo la separazione di Capri a causa di fenomeni geologici, oggi è nota
anche per il panorama unico che si può godere da Monte San Costanzo su
Capri e i due golfi, e per la suggestione storica che infonde l’antica
torre di Minerva tirrena, dove termina il ramo principale della via
Minerva. Questa via di comunicazione costiera partiva dall’antica
Stabiae, toccava Aequana (Vico Equense), proseguiva lungo i passi
collinari e passando per sant’Agata sui due Golfi terminava sul
Promontorium Minervae o Sorrentinum, poi punta della Campanella.
Nel
mattino fresco del mare, dopo colazione, tutti a Sorrento, brulichio
festivo di visitatori e profumi di Primavera, visti dai vetri sfuggenti
del bus che serpeggia fra le colline riflesse nel mare.
Breve
sosta, altro bus per Positano, pieno di occhi spalancati sulla costa che
cade dai tornanti stretti del “Nastro Azzurro”. Questo è il nome
della strada aperta a fine ‘800 dai borboni, fatica di tanti operai di
ieri capaci di sfidare l’asperità dei pendii e di oggi, automobilisti
pazienti.
Ancora
una volta affascinati dalla natura che qui’, in prossimità del mare, si
colora di piante amanti del sole, arriviamo a Positano.
Sosta
dovuta all’antico borgo marinaro, oggi grande emporio del turismo. Il
ritorno ad Amalfi con il traghetto, prima volta anche per me, mi sembra
una bella sorpresa, con un abbraccio dal mare dei monti che su in alto si
mostrano ormai familiari: uno spettacolo che toglie il fiato, quello
rimasto dopo la estenuante trattativa portata avanti (in particolare da
Bruno) nel “mercatino del traghetto privato”, fra destinazioni e
prezzi che cambiavano in breve tempo.
Amalfi
è, fra i vari centri della costiera, il luogo che più di altri conserva
un’anima, storia, tradizioni, cultura; non arreso completamente alla
metamorfosi turistica va fiera delle sue tradizioni, ci mostra il suo
spettacolare Duomo e, di fianco, la sua……. Pasticceria; come sfuggire
a profumi, forme, colori e sapori che sembrano la naturale continuazione
di quelli che qui gli abitanti e la natura mostrano a tutti.
Laura,
Barbara, Bruna e altri si perdono fra le navate e la cripta del Duomo a
cui, incredibilmente, si accede pagando un pedaggio. Io e Maurizio, i
golosi istituzionali del gruppo, meno “elevati” spiritualmente,
scendiamo in questo tempio del dolce affondando gli occhi fra panne, creme
al limone e dolci dalle forme eroticamente attraenti. Quello che è
avvenuto dopo non è narrabile per un giustificato senso del pudore e
perché la legge sulla “privacy” non mi consente altro.
Si
riparte fra preghiere e pasticcini, fra sacro e profano. Altro bus, questa
volta per la nostra ultima e prima tappa costiera: Cetara. Appena scesi
dall’autobus ci accorgiamo di aver scaricato dal portabagagli del
torpedone un’ufo, uno zaino non identificato. Rincorriamo il bus già
ripartito per porre riparo al distratto tentativo di furto e restituirlo
al legittimo proprietario. Con uno scatto felino Bruno placca il
mastodonte e si “becca” una sportellata sui denti, Rheinard lo insegue
per sostituirlo in caso di invalidità temporanea, Laura con una corsa
disperata sospinge il maltolto come un trofeo sparendo alla nostra vista
dietro una curva; ciò che è avvenuto dopo è avvolto nel mistero, le
cronache riportano solo tre volti rossi e sorridenti che ritornano a mani
vuote verso di noi, ormai preparati a tutto.
Ci
avviciniamo un po’ mesti, consapevoli dell’imminente fine avventura,
alla piazzetta del paese da cui siamo partiti 4 giorni prima. Ghiandole
lacrimali pronte ad aprirsi e stupore autentico (è la prima volta da
quando faccio la guida) di fronte al sincero regalo che i ragazzi mi hanno
preparato come ringraziamento.
Prima
di chiudere questa breve memoria, due parole sui partecipanti di questa
bella avventura.
Dante:
il collettore del gruppo, l’uomo giusto per non disperdere completamente
un gruppo ben assortito, doti nascoste di fondista (sorprendenti anche per
me che lo conosco da circa due anni) e di trasformista in……
dromedario, quello che ci appariva quando stendeva la camicia nella parte
posteriore dello zaino formando una spassosa gobba; carattere serio e
gioviale.
Angelo:
atleta della montagna, poche parole, ironia e…….. fortuna di dormire,
unico del gruppo, sempre in camera con donne.
Barbara:
mitica compagna di viaggio dalla forza “erculea”, capace di
trasformare il proprio zaino in un bazar di oggetti casalinghi, servizio
da tè con bollitore incluso; propensione al misticismo, massimo di fronte
all’isola di Capri. Riflessiva e dolce, dal crampo facile (vedi
Avvocata) e dai “rumori” notturni.
Bruna:
esile e resistente come Barbara, allegra compagna di viaggio, coppia
inseparabile con Serenella, mai ultima sui sentieri.
Bruno:
ottimo cuoco e fotografo, in evidenza per i suoi due metri di altezza,
coraggioso primo iscritto nella selezione nuoto del gruppo.
Cinzia:
ragazza atletica (abbiamo perso il conto degli sports che pratica),
allegra ed entusiasta della natura della costiera, è venuta con noi anche
per allenarsi nelle gare di corsa in montagna di cui è prima nella sua
categoria.
Claudia:
scugnizzo dei castelli romani, piè veloce del gruppo, un’altra
dimostrazione che la giovinezza non è una questione anagrafica.
Francois:
svizzero, il più giovane e “bello” del gruppo, sereno e allegro,
perfetto compagno di viaggio, poco amante dei “rumori notturni” e dei
risvegli anticipati….
Maurizio:
il nostro professore (docente all’Università di Perugia), ironico
vignettista del gruppo, assiduo delle retrovie insieme a me e Serenella,
raffinato estimatore di zuccheri complessi e di….. arredamenti
pasticceri.
Rheinard:
tedesco roccioso, simpatico ed affascinante sessantenne, in perenne
conflitto con reti e materassi (gli aneddoti riempirebbero troppo spazio
di questo racconto).
Serenella:
toscana di Pistoia, trascinata in queste terre dall’amica Bruna,
contenta di ritrovarsi risorse inaspettate.
Laura:
vivace e chiacchierino folletto del gruppo, dotata di una gestualità
senza limiti.
Un
gruppo così, quasi perfetto, è da augurarselo per qualsiasi escursione
!
Giuseppe D’Onofrio
Accompagnatore escursionistico nazionale – FIE LAZIO
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